Blog post

Tom Wolfe, ovvero The Punisher: recensione del libro Maledetti architetti (From Bauhaus to our house)

9 Maggio 2018

Nonostante il suo abbigliamento tipico sia a metà tra el rico texano dei Simpson e un gangster in stile Al Capone, Tom Wolfe è sicuramente quanto di più distante esista da questi modelli di uomo.

Scrittore e critico dal sapere sconfinato, è noto per descrivere, nel suo modo sarcastico e pungente, le storture della società americana, delle sue pecche e delle sue virtù.

Il suo ruolo è quello di fustigatore delle assurdità.

Hai presente quando ti senti triste e fuori piove e fa freddo e avresti proprio bisogno che qualcosa ti tirasse su di morale? Ecco, Tom Wolfe è quello che fa per te.

Definito non a caso saggista polemista, snocciola perle di saggezza una dopo l’altra. Di quelle che ti fanno rizzare i peli delle braccia e al contempo ridere a crepapelle.

Perché se hai bisogno di placare la tua sete di vendetta e di giustizia, se vuoi finalmente trovare il coraggio di uscire dal coro di quelli che dicono che Gropius & Co. sono e saranno per sempre i migliori sulla piazza, hai trovato il libro che fa per te.

Nel nome del padre, del figlio, dello spirito santo e di Tom Wolfe. Amen.

 

 

Recensione

Il libro Maledetti Architetti (titolo originale From Bauhaus to our house) è una critica viscerale a quella casta formata da avvedute personalità americane che ha accolto gli architetti tedeschi espatriati dall’Europa durante il nazismo, trasformandoli in grandi personalità dello star-system.

Distorcendo la propria prospettiva in materia di architettura e città.

Riducendo la vitalità e la qualità di vita del sistema urbano attraverso trasformazioni a dir poco improprie.

Senza nulla togliere a ciò che questi grandi uomini dell’architettura hanno dato a questa disciplina.

Wolfe critica la tendenza dell’America del dopoguerra a cedere al fascino del Bauhaus abbandonando la propria identità e dimenticando le proprie radici.

Detesta la venerazione di personaggi come Johnson che aderiscono senza batter ciglio al modo di fare architettura degli europei.

Gli europei, che avevano portato il bianco abbagliante dei loro progetti e la dimensione spirituale del proprio approccio.

 

 

I giovani architetti andavano a studiare ai suoi piedi – parlando di Gropius -. Certuni come Philip Johnson non si rialzarono neanche dopo qualche decennio

 

 

L’eredità di Gropius specialmente fa storcere il naso a Wolfe che lo ribattezza sarcasticamente il Principe d’Argento. In questo appellativo si nasconde (ma mica tanto) l’opinione che aveva a proposito del suo modo di insegnare l’architettura.

Questo atteggiamento da setta che descrive chiamando la casa dell’architettura conventicola e confratelli tutti i suoi sottoposti.

 

 

“In Europa fanno tutto molto meglio”

Per Wolfe tutta questa storia deriva dal complesso di inferiorità che gli americani si portano dietro fin dal principio, un fenomeno che lui chiama “complesso di colonia” citando V. F. Calverton e che tecnicamente avrebbero superato con la fine della seconda guerra mondiale, diventando più self-confident e affermando finalmente la propria identità.

Vincere una guerra fa miracoli. Risolleva l’autostima e migliora la pelle.

Eppure alla fine niente si era risolto, il nodo non si era sciolto e l’americano medio aveva sotterrato il suo complesso di Davide (contro Golia) sotto tonnellate di intraprendenza e spavalderia.

Lo stesso era valso per l’architetto medio che aveva prima di tutto raggiunto l’Europa  per vedere i capolavori della vera arte e architettura, in una sorta di versione sfigata del Grand Tour.

Come quelli che facevano i giovani aristocratici europei a partire dal seicento, ma in mezzo alla fame del dopoguerra.

 

L’artista europeo! Che figura ammaliante! […] spiccavano tutti costoro come bronzeo-dorate statuette di Gustave Miklos sullo sfondo delle fumiganti macerie della Grande Guerra!

 

Poi, quando Gropius e i suoi erano stati obbligati dalla censura nazista a espatriare, gli americani (che avrebbero dovuto piuttosto sentirsi come dei salvatori che come dei miracolati) li avevano accolti in modo esageratamente ossequioso. Adesso Wolfe li chiama Dei Bianchi, i tedeschi. Avevano dato loro tutti i ruoli più importanti. Ognuno era a capo come minimo di una facoltà di architettura cambiando per sempre il modo di fare insegnamento. E naturalmente, approccio e contenuti.

 

 

Eccoli dunque: sradicati, esausti, senza un soldo, apolidi provati duramente al destino

 

 

Architettura americana d’Europa

Si seguivano pedissequamente i precetti del Bauhaus creando sommo smarrimento nei proprietari delle nuove case di lusso, bianchissime, abbaglianti, asettiche. Gli avvocati più in voga di New York prediligevano gli edifici di vetro per i loro studi, salvo poi incaricare un arredatore che rendesse l’interno più umano, arrivando, per reazione, al barocco.

Wolfe giura che è tutto vero e che anche gli stessi architetti americani si sono accorti della falla in questo sistema.

Ciononostante si persevera clamorosamente su questa strada e ci si continua a prostrare ai piedi degli Dei Bianchi provenienti dalla lontana Europa, mentre alcuni dichiarano la comparsa del cosiddetto Stile Internazionale.

Il MoMA gli dedica una mostra scegliendo i partecipanti con un preciso criterio di amicizia. Si elimina con una certa veemenza il termine “borghese”, perché così aveva fatto il Convento. Ora tutto è rigorosamente Antiborghese. Una specie di antifascismo.

 

 

Le accoglienze a Gropius e ai suoi confratelli avevan qualcosa di simile a certe scene ricorrenti nei fil d’avventure africane di quel periodo. […]:

Gli dei bianchi!

Son discesi dal cielo, finalmente!

 

 

L’architettura americana del dopoguerra scimmiotta e distorce l’architettura europea degli anni Trenta. Rinuncia alla propria identità, produce palazzi e palazzi in vetro e metallo tutti uguali, “scatoloni di cristallo rivestiti di lastre specchianti in modo da riflettere gli edifici vicini, anch’essi scatoloni di cristallo, e distorcere così quelle noiose linee rette, facendole sembrare curve”.

Espedienti estremi per ridurre la sensazione di ripetitività infinita. Tutto sembra basarsi solo su Teoria, vuota e ridondante che produce replicanti modello Sig. Smith.

In mezzo a tanta gente presa di mira dal buon Wolfe, c’è anche Le Corbusier. Il re del Purismo. Ritenuto uno dei responsabili di questo piattume architettonico che aveva portato alla decadenza della qualità della vita.

Colpevole di aver ideato le “strade per aria” ed eliminato tutto il resto riducendo la vita all’essenziale. Senza più luoghi di svago ( e di perdizione) disponibili, tutto si sarebbe svolto nei grandi boulevard sospesi di Corbu.

 

 

In confronto a quei boulevards di Corbu, Gin Lane (o Vico dei Beoni) di Hogarth, sarebbe sembrata una strada tranquilla

 

 

Il Teorico per eccellenza, luminare dell’architettura del Novecento, proponeva di fare la rivoluzione costruendo qualche edificio o poco più, ma dandoci dentro con  le pubblicazioni.

Le Corbusier si era trasformato in Le Corbusier all’improvviso, per una sua autonoma decisione. Aveva vestito i panni del suo personaggio.

Dopo aver cambiato nome e occhiali e si era messo a fare Teoria, avendo ben chiaro che in quel clima di cameratismo spirituale andare per conto proprio era impossibile. Aveva aderito alla filosofia di vita del convento e come confratello si era mosso. Lo rivedremo nelle varie edizioni del CIAM in stretta alleanza con i suoi compagni.

 

 

Le Corbusier, il signor Purismo. Insegnava a diventare grandi architetti senza mai costruire edifici. Costruì, lui, la Città Radiosa dentro il proprio cranio

 

 

L’importanza della versione di Wolfe

Dal libro di Wolfe si può imparare a leggere l’architettura dagli anni Trenta al dopoguerra, non solo quella americana, ma anche quella europea.

Dovendo far fronte all’assunto che la storia la scrivono i “vincitori”, è utile (e raro) leggere una versione così dissonante, quasi stonata, delle cose. Una critica così aspra degli eventi sa mettere in luce i fatti storici semplicemente spostando all’estremo opposto l’ago della bilancia.

Ciò che fino ad un certo punto è sembrato intoccabile, netto e rigido all’interno dei confini del racconto, è diventato improvvisamente umano e fallibile.

Maledetti architetti è una lettura che aiuta ad essere obiettivi nella narrazione distorta della verità. Ti insegna presto a fare a meno delle buone maniere, ad essere carini e gentili, con il nobile fine di dirla tutta e subito.

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Indietro Avanti